Prodotto tipico abruzzese strettamente legato alla tradizione della pastorizia, la micischia è una preparazione originaria dei paesi di montagna. Piatto a base di carne di pecora (o capra), dal sapore forte e intenso, la micischia era il pasto dei pastori, una ricetta semplice da realizzare all’aperto, nei pascoli, durante la transumanza.
Secondo i dettami dei pastori abruzzesi, la base di partenza è la carne di una pecora non troppo giovane né troppo grassa, preferibilmente il taglio dalla spalla in giù in un unico pezzo. La carne, rigorosamente disossata, viene poi condita con sale, pepe e aromi vari e lasciata ad essiccare vicino al fuoco. Per aiutare questo processo, la carne è posta su rami di albero e canne, utili a tenerla alla giusta distanza dalla fiamma. La micischia non deve infatti rosolarsi ma assorbire lentamente i fumi, così da assumere il suo caratteristico gusto affumicato. Una volta terminata la fase di essiccazione, la carne è pronta per essere consumata o conservata.
Micischia e transumanza, una tradizione in declino
La micischia ha un sapore particolarmente deciso e poco adatto ai palati delicati, ma offre proprietà nutrizionali invidiabili. La carne di pecora, così trattata, ha infatti un elevato tasso proteico e una scarsissima quantità di grassi. La procedura di essiccazione ideata dai pastori abruzzesi, oltre a tenere lontani gli insetti durante la cottura, offre l’enorme vantaggio di estendere il ciclo di vita della carne, aumentandone la conservabilità e riducendo di fatto gli sprechi.
A partire dalla fine degli anni ’60, l’abbandono della transumanza in Abruzzo, e nel resto d’Italia, ha reso la micischia una preparazione ormai rara e sempre meno diffusa. Fatta eccezione per qualche piccolo paesino di montagna, che custodisce gelosamente il suo passato rinnovando la tradizione di questo prodotto abruzzese, figlio di un tempo ormai lontano, è purtroppo caduto in disuso.
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