Cagliu o callu de cabreddu, rarità casearia sarda

Il Cagliu, detto anche Callu de cabreddu, è una vera rarità, un prodotto tipico della Sardegna del sud, figlio della tradizione pastorale e dell’ingegno delle popolazioni antiche.

Ormai realizzato solo da pochi pastori della provincia di Nuoro, il Cagliu è un formaggio dal gusto molto forte e piccante, che viene prodotto riempiendo di latte di capra crudo l’abomaso dei capretti, vale a dire il loro quarto stomaco.

Gli enzimi presenti nello stomaco dell’animale favoriscono la coagulazione, creando un formaggio davvero unico. Il Cagliu è quindi un formaggio fatto al contrario, perché generalmente dall’abomaso si ricava il caglio da aggiungere al latte, mentre in questo caso è il latte che viene addizionato al caglio.

Una volta inserito il latte, l’abomaso è legato tipo sacchetto, e viene lasciato a stagionare in luoghi freschi per un lasso di tempo variabile. In relazione alla durata della stagionatura cambia anche la consistenza del formaggio, cremoso e spalmabile in tempi brevi e più duro e friabile se maturato a lungo.

Storia del callu de cabreddu

Quella del Cagliu è una preparazione antica, frutto dell’ingegno delle popolazioni rurali delle zone interne della Sardegna. Il formaggio nasce infatti da una necessità pratica: quella di conservare il latte per evitarne lo spreco. L’intuizione di utilizzare come sacca l’abomaso del capretto, accuratamente aperto e lavato, è dunque all’origine di questo storico formaggio sardo.

Gli animali utilizzati devono avere al massimo 35 giorni di vita, e devono essere stati nutriti esclusivamente con latte materno per favorire la buona riuscita della preparazione.

Il sapore deciso e persistente del Callu de Cabreddu è consigliato soprattutto a chi ama le esperienze gastronomiche intense. Nella cucina sarda tradizionale storicamente consumato anche cucinato, in particolare fritto nello strutto, il Cagliu è oggi mangiato soprattutto al naturale. Per apprezzare a pieno le sue persistenti note aromatiche basta tagliarlo a fette e asportare l’abomaso come fosse una sorta di buccia.

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Ciro Cristian Panzella